Laura Spinney, 1918 L’influenza spagnola, Marsilio Editori, Venezia, 2017 (348 pp., 11 euro)
1918, il mondo sta combattendo la Prima Guerra Mondiale e in contemporanea si sviluppa una nuova “influenza” che diventerà poi nota come spagnola. Ormai ce la siamo dimenticata, sui libri di storia non viene trattata, mentre è stata il principale disastro sociale del XX secolo: si parla di 50 milioni di vittime in soli due anni, ma potrebbe essere anche questo un dato sottostimato del 100%.
Quando Laura Spinney scriveva, il Covid-19 era lontano dall’essere realtà. Ma proviamo a leggere questo volume alla luce di quanto stiamo vivendo. Come è stata affrontata la pandemia da influenza spagnola? Quali strumenti di contrasto utilizzati nel 1918 sono validi ancora oggi?
Riprendendo direttamente la Spinney, “cordone sanitario, isolamento, quarantena: sono concetti antichi che gli esseri umani mettono in pratica da molto prima di aver compreso la natura degli agenti del contagio, persino da prima di considerare le epidemie un atto divino. Anzi, è probabile che avessimo elaborato delle strategie per difenderci dalle infezioni ancor prima di poterci definire strettamente ‘umani’”. Inoltre le istituzioni sanitarie facevano in maniera empirica un tracciamento dei contagi.
E ancora: “Furono messe in atto numerosissime misure di distanziamento sociale (…). Si decise la chiusura di scuole, teatri e luoghi di culto, furono adottate restrizioni al trasporto pubblico e proibiti i raduni di massa (…). Campagne informative avvertivano di usare il fazzoletto quando si starnutiva e di lavarsi le mani regolarmente, di evitare i luoghi affollati ma di tenere le finestre aperte (si sapeva che i germi prosperano in ambienti caldi e umidi)”.
Ci dice niente tutto ciò? Non ci ricordano in maniera praticamente identica le misure messe in campo nel 2020 per contrastare il Covid-19?
Il pensiero di allora, molto chiaro, è diventato dato storico: la quarantena e le altre strategie di contenimento delle malattie mettono l’interesse della collettività davanti a quello dell’individuo.
Perché a distanza di più di un secolo ci siamo ritrovati a mettere in discussione le misure di contenimento della pandemia e non abbiamo acquisito il significato della responsabilità collettiva?
Ci risponde in parte la stessa Spinney: “L’esperienza ci dimostra che la gente è poco tollerante nei confronti delle misure sanitarie obbligatorie, e che tali misure sono più efficaci quando sono volontarie, quando dipendono da una scelta individuale, e la rispettano, e quando si evita l’uso della coercizione”.