Egitto: la pandemia di Al-Sisi
Il pallottoliere del Covid-19 per l’Egitto registra a oggi 245.000 casi totali e 14.263 decessi su una popolazione che ha superato i 100 milioni di abitanti di cui più della metà vive vicino o sotto la soglia di povertà. La parte ufficiosa del contagio è totalmente sconosciuta.
Già prima della pandemia la situazione del sistema sanitario egiziano era critica col personale medico abbandonato a se stesso e con una ricaduta pesante sulla qualità delle cure prestate. Molte strutture pubbliche sono fatiscenti, mancano strumentazioni, gli standard di qualità sono bassi e il personale medico, inascoltato, spesso è costretto a scegliere di lasciare il lavoro e tentare fortuna all’estero, in altri Paesi arabi. Alla maggioranza degli egiziani, che non può permettersi cure costose ed efficaci, rimane la speranza di non ammalarsi.
Il Covid-19 ha drasticamente peggiorato la situazione, lasciando i medici senza le minime attrezzature e protezioni individuali ad ammalarsi e morire sul posto di lavoro.
In questo quadro il governo del generale Al-Sisi, più che concentrarsi per potenziare il sistema sanitario, ha usato la pandemia e il clima di paura che ha generato a livello mondiale, per incrementare la sua torsione autoritaria, rivolgendo la lotta più che contro il Covid-19 contro chiunque provasse a criticare la gestione della pandemia o non si attenesse ai dati ufficiali della diffusione del contagio. È lunga la lista dei giornalisti arrestati durante i mesi più difficili della pandemia accusati di diffondere notizie false e di attentare alla sicurezza e alla stabilità del Paese. Con le stesse accuse sono stati censurati numerosi media online, siti web e account personali.
Lo stato d’emergenza e la repressione che lo caratterizza non hanno silenziato solo la stampa, ma chiunque cercasse di far emergere la reale gestione catastrofica dell’emergenza sanitaria in particolare medici e operatori sanitari. Le direzioni sanitarie degli ospedali hanno istaurato un clima di terrore e di minaccia verso chiunque avesse intenzione di far uscire allo scoperto le falle del sistema sanitario.
Le politiche sociali attuate dal governo hanno portato a un peggioramento degli standard di vita già precari di buona parte della popolazione. Tra giugno e agosto dello scorso anno sono state varate una serie di misure che hanno colpito direttamente le classi più svantaggiate tra cui l’aumento del costo dell’energia elettrica e l’emanazione di una legge che prevede la detrazione dell’1% dallo stipendio di tutti i lavoratori e dell’0,5% dalle pensioni mensili per il periodo di un anno, risorse, secondo il governo, destinate a contrastare gli effetti economici della pandemia.
In realtà per scongiurare l’acuirsi della crisi economica e sociale Al-Sisi ha fatto ampio uso della creazione di mega progetti infrastrutturali assicurandosi dal Fondo Monetario Internazionale, di cui ha assimilato tutte le politiche di austerity, un nuovo prestito per gli adeguamenti strutturali. Il governo ha puntato sul settore edilizio le cui aziende sono in massima parte di proprietà dell’esercito alimentando così la militarizzazione dell’economia.
Le misure di contenimento della pandemia hanno colpito soprattutto i settori del commercio al dettaglio e del turismo facendo perdere migliaia di posti di lavoro a quella fascia di lavoratori in nero o alla giornata che hanno visto azzerarsi ogni entrata possibile per sopravvivere in una realtà sociale che non garantisce ammortizzatori sociali o sussidi sufficienti. Pur restando una polveriera a cielo aperto sul piano della stabilità sociale, a breve termine non sembrano esserci all’orizzonte scenari di instabilità. D’altra parte la stabilità del regime di Al-Sisi è garantita dall’asse creato con altri Paesi della regione quali gli Emirati Arabi Uniti e dall’ampio appoggio delle potenze occidentali, Stati Uniti e Francia su tutte, che chiudono volentieri un occhio, se non tutti e due, sul clima di repressione presente nel Paese in nome di interessi politici ed economici. Anche l’Italia, che avrebbe tutte le ragioni per non intrattenere rapporti con l’Egitto dopo l’omicidio di Giulio Regeni e per la drammatica situazione di Patrick Zaki, detenuto dall’8 febbraio 2020 per il solo fatto di essere un attivista per i diritti umani, continua ad avere legami stabili con Al-Sisi per salvaguardare i progetti nel Paese di colossi nazionali come l’Eni e per il remunerativo mercato delle armi che vede nell’Egitto uno dei migliori clienti, come conferma la commessa di ben 10 miliardi per navi e aerei militari.
Ma se per infrastrutture e armi i soldi ci sono, così non è per il contrasto alla pandemia: l’immunizzazione degli egiziani non è gratuita, se non per operatori sanitari e per chi è considerato indigente perché registrato nel programma di welfare Solidarietà e dignità, ovvero il 4% della popolazione. Per gli altri il vaccino è a pagamento: dieci dollari per due dosi per 30 milioni di persone che vivono con 45 dollari al mese. Se non si hanno i soldi, non ci si vaccina, con tutti i rischi del caso per i singoli e la collettività.