L’(in)equità di Covax – promesse per molti, vaccini per pochi
Nel maggio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con il supporto di Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna, Commissione Europea e di Fondazione Gates e Banca Mondiale, ha lanciato l’iniziativa ACT, Access to Covid-19 Tools, all’interno della quale ha preso avvio Covax, Covid-19 Vaccine Global Access, un programma di acquisti globale con l’obiettivo dichiarato di garantire un accesso equo ai vaccini anche ai Paesi più poveri. Si tratta di un meccanismo che permette ai Paesi ricchi di sottoscrivere l’acquisto preventivo di una data quantità di vaccini con l’impegno di metterli a disposizione di Paesi a basso reddito, che a loro volta si impegnano ad acquistarli a prezzo agevolato. Uno dei limiti di questo programma è che a pieno regime coprirà solo il 20% del fabbisogno vaccinale delle popolazioni di quei Paesi: per il restante 80% si dovranno affidare comunque al mercato.
Per capire come funziona realmente l’esportazione di vaccini nei Paesi del sud del mondo diamo un occhio a una delle slide presentate dalla Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen in una conferenza del 25 marzo 2021. Leggiamo che l’Europa ha esportato 77 milioni di dosi in 33 Paesi, fra cui Gran Bretagna al primo posto e Stati Uniti. Nella stessa slide, volutamente ambigua, scopriamo anche che Covax ha esportato 31 milioni di dosi in 54 Paesi. Se sottraiamo le dosi Covax al totale delle esportazioni europee notiamo che 46 milioni di dosi rientrano nel libero mercato e vengono acquistate dai Paesi più ricchi. Come la Gran Bretagna che, pur essendo tra i finanziatori di Covax, non mette a disposizione alcuna dose dei propri vaccini e gli Stati Uniti che raddoppiano il proprio obiettivo di vaccinazioni, ma per arrivarci mantengono in vigore il Defence Production Act, una legge da tempo di guerra che blocca l’esportazione di tutte le materie necessarie per produrre dosi mettendo così in difficoltà i produttori stranieri.
Ma i 31 milioni di dosi distribuite tramite Covax dove sono state prodotte? Basta andare sullo stesso sito del programma per vedere che 28 milioni sono dosi di AstraZeneca prodotte dal Serum Institute di Pune in India e da Sk Bioscience della Corea del Sud. Da questo semplice dato non si capisce perché tutte le dosi di Covax consegnate in 54 Paesi a basso reddito debbano essere conteggiate tra le “esportazioni dell’Unione Europea”, quando la produzione già avviene nei Paesi che dovrebbero beneficiarne. Alla luce di tutto ciò l’India, colpita da una nuova ondata pandemica, pare aver scelto di interrompere le esportazioni di dosi fino a quando non avrà avviato in maniera massiva la propria campagna vaccinale. E questo rischia di mettere ulteriormente in crisi il programma Covax, che già pare un’anatra zoppa: se cessano le esportazioni indiane non è difficile immaginare quali Paesi pagheranno ulteriormente le conseguenze della guerra sui vaccini. Nel frattempo, sullo sfondo di questi scontri commerciali, resta il fatto che i vaccini più accessibili per i Paesi del sud del mondo sono i cinesi Sinovac e Sinopharm e, in quantità minori, il russo Sputnik V.
I rappresentanti del sud del mondo sono scarsamente coinvolti nelle sede internazionali di Gavi e Cepi, i due sistemi di coalizioni sanitarie promosse da Bill Gates dove si fa ricerca e si progettano i vaccini, che finiscono per essere tarati sulle possibilità dei Paesi ricchi. Per intenderci, difficile pensare a una distribuzione di Pfizer che deve essere conservato a -70° in Paesi che non hanno strutture sanitarie e infrastrutture adeguate. È una questione di equità: per la loro struttura alcuni vaccini sono “riservati” a chi può permetterseli anche su un piano logistico, oltre che economico.
Parlare di sconfiggere la pandemia a livello globale in tempi relativamente brevi è del tutto velleitario: ci vorranno anni perché i Paesi a basso reddito possano intravedere la luce in fondo al tunnel, con buona pace della povertà e delle disuguaglianze. Metà delle dosi vaccinali sono state prenotate da Stati che rappresentano solo il 15% della popolazione mondiale, come scrive The Economist. Sullo sfondo resta il nodo principale: la questione dei brevetti. La liberalizzazione dei brevetti è l’unica strada che può permettere una produzione dei vaccini su scala globale, mettendo al primo posto il diritto alla cura di tutte le persone, nessuna esclusa, anziché le logiche di mercato. Lasciare indietro intere aree del mondo può rivelarsi estremamente pericoloso per tutti. Riprendendo le parole di Nicoletta Dentico, esperta di salute globale, “siamo tutti nello stesso mare, ma non di certo sulla stessa barca: c’è chi è su uno yacht e chi su una barchetta che naviga con difficoltà in quel mare di onde che è la pandemia”.