Sulle epidemie e le pandemie che si sono succedute nel corso della storia abbiamo un’unica certezza: sono esplose nel momento in cui l’essere umano ha colonizzato aree del mondo prima isolate e si sono diffuse nel momento in cui abbiamo iniziato a vivere in luoghi estremamente affollati e a spostarci da un luogo a un altro prima per interessi (guerre di conquista, controllo delle materie prime, etc.) e adesso per svago. Possiamo affermare quindi che l’Età delle scoperte ha segnato l’inizio dell’epoca delle minacce pandemiche globali e che l’Età dell’iper-globalizzazione ha fatto sì che queste minacce si diffondessero in maniera sempre più veloce.

Facendo un parallelismo, se possiamo definire la peste come la “malattia del commercio” in un’epoca in cui i commerci avvenivano soprattutto via mare, possiamo definire il Covid-19 come la “malattia del turismo” in un’epoca in cui gli spostamenti avvengono soprattutto per via aerea.

Per avere un’idea di quanto i viaggi aerei abbiano accelerato la diffusione dei virus basti pensare che per circumnavigare il globo nel 1519 la flottiglia di Magellano impiegò tre anni, nel 1976 un aereo della Panamericana impiegò quarantasei ore, mentre il volo più lungo senza scalo effettuato nel 2021 è un New York-Singapore della Singapore Airlines che ha impiegato solo 18 ore e 50 minuti. Questa è l’attuale velocità a cui si spostano le persone e, di conseguenza, la velocità a cui si spostano i virus.

A questo sommiamo che nel 2019, ultimo anno pre-pandemia, i turisti, per piacere o per affari, nel mondo sono stati oltre 1,5 miliardi (+4% rispetto al 2018, fonti UNWTO) di cui 743 milioni solo in Europa e 131 milioni in Italia. In pratica viaggia ogni anno più di 1 essere umano su 7. Le previsioni per il 2020 erano altrettanto rosee, ma poi sappiamo cosa è successo.

La pandemia da Covid-19 ci ha svelato quello che in molti ritenevano già da tempo: il turismo di massa incontrollato genera solo caos nelle destinazioni di arrivo e porta al logoramento sia urbano sia sociale di città e territori. Basti pensare alle grandi città d’arte italiane (su tutte Venezia, Firenze e Roma) il cui centro storico ormai non è più vissuto da residenti, ma alla mercé di turisti internazionali incuranti dello spazio e dei luoghi in cui si trovano. Ricordiamo le foto di queste città durante il lockdown di marzo 2020 con la natura che cercava lentamente di riprendersi i propri spazi.

È cambiato qualcosa nel corso dell’ultimo anno? È aumentata la consapevolezza dell’impatto che il turismo ha sui luoghi? A vedere i numeri e quello che è successo nell’estate 2021 pare assolutamente di no. In alcune grandi destinazioni turistiche balneari italiane i numeri dell’estate 2021 sono stati addirittura superiori a quelli dell’estate 2019. Il bisogno o l’esigenza di viaggiare delle persone è evidente e non è questo che va contrastato. Insieme alle persone, però, continueranno a viaggiare i virus. Che fare? Sicuramente occorre mettere in campo azioni che contribuiscano a creare consapevolezza, sia perché chi viaggia sappia di essere a sua volta “mezzo di trasporto” di ospiti sgraditi, sia perché i luoghi vengano preservati da un consumo di massa e resi attraenti per chi è effettivamente interessato, sia perché quelli incontaminati restino tali. Pensiamo al Brasile o al Sud-Est Asiatico, ma, per restare vicini a noi, anche alle Dolomiti e alla Sardegna dove spesso si interviene in maniera devastante sulla natura per realizzare strutture ricettive e infrastrutture di servizi turistici. Pensiamo anche ai centri storici delle città trasformati in centri commerciali a cielo aperto, svuotati di residenti e con servizi sempre più a misura di turisti inconsapevoli.