La storia ci indica che numerose malattie sono state debellate grazie alle vaccinazioni: ricordiamo ad esempio il vaiolo, eradicato completamente nel 1979 e la poliomielite debellata nel 2014 nell'80% del mondo.

Anche per vedere l’uscita dal tunnel del Covid-19 nel quale ancora ci troviamo i vaccini sono quindi uno strumento utile e necessario. Ma non sono ancora sufficienti a debellare la malattia: l’efficacia del 90% o più si riferisce alla capacità del vaccino di bloccare, nelle persone infettate dal virus, l’evoluzione verso la malattia conclamata. Inoltre, la loro efficacia non è stata provata in maniera estensiva su un campione di popolazione più vario e rappresentativo, perciò è garantita in alcuni casi solo per certe fasce d’età. Non ci sorprende affatto che in questo sistema le logiche di profitto siano l’unico orizzonte possibile per l’umanità — e le multinazionali farmaceutiche non fanno eccezione. Agendo fuori da queste logiche, mettendo la tutela universale della salute pubblica e la cooperazione internazionale al primo posto, sicuramente esisterebbero industrie biomediche e farmaceutiche radicalmente diverse e avremmo probabilmente avuto uno o più vaccini migliori. D’altro canto, addossare tutte le responsabilità di un sistema atroce a “Big Pharma” che “corrompe i governi” è la tipica inversione complottista dove un particolare attore è in grado di manovrare il sistema intero, invece di esserne una componente tra le altre. Riservandoci in futuro un approfondimento sulle produzioni biomedico-farmaceutiche, possiamo intanto rivolgerci alle problematiche politiche relative alla distribuzione e somministrazione dei vaccini che, ci piacciano o no, oggi abbiamo a disposizione come uno dei tanti mezzi per affrontare la pandemia.

Sappiamo che il mercato non si autoregolamenta, soprattutto quando si tratta di “merci” che sono necessarie alla sopravvivenza della specie umana. Gli Stati hanno fatto goffi tentativi di riparare all’immissione del vaccino nei circuiti del neoliberismo. Sono stati ottenuti accordi sulle forniture, ancora una volta in base a leggi di mercato. Stati che hanno pagato di più otterranno più dosi, e più in fretta. Questo non è bastato, come dimostrano i problemi legati alla fornitura verificatisi poco dopo l’inizio del piano vaccinale. Alcuni politici hanno provato a proporre soluzioni “radicali”, come la nazionalizzazione della produzione dei vaccini o la richiesta di brevetti pubblici, ottenendo per il momento scarsi risultati. Qualcosa si è mosso anche dal basso dove sono iniziate a fiorire petizioni sulla non-brevettabilità del vaccino. È indispensabile che si proceda subito a rimuovere i brevetti di questi vaccini, che si inizi a diffondere la conoscenza per la loro produzione e che si proceda a una vaccinazione generalizzata nel più breve tempo possibile. Solo così, quando potenzialmente tutti coloro che ne hanno le competenze potranno produrre vaccini, si riuscirà a vedere la fine del tunnel del Covid. Pensiamo che questo debba essere un punto chiave per i movimenti, ma non solo: la richiesta di non-brevettabilità deve essere estesa a tutte le tecnologie farmaceutiche e mediche e la proprietà intellettuale sui saperi medico-scientifici deve essere sorpassata.

Questo aspetto è legato in maniera indissolubile ai temi della giustizia sociale e dell’internazionalismo. La limitazione ad opera dei Paesi “a economia avanzata” nell’accesso al vaccino ai danni degli altri Paesi fa parte di un dispositivo di governo che possiamo descrivere con una parola: eugenetica. Impedire lo sviluppo autonomo del vaccino e al tempo stesso non fornire dosi adeguate per motivi economici significa decidere che la vita delle persone di certi Paesi vale meno della vita di chi vive in altre parti del mondo. Nulla di nuovo nel capitalismo, ma qui si tratta letteralmente della vita e della morte delle singole persone e quindi della società. Va anche considerato il caso di quei Paesi che avranno un accesso limitato al vaccino perché retti da governanti negazionisti a vario titolo della pandemia. L’accesso quindi non è limitato solo da motivi economici, ma anche politici e su questo le grandi organizzazioni internazionali mostrano tutta la loro inutilità.

Pensiamo al gran numero di migranti non registrati e dunque “invisibili” alle burocrazie statali, se non prigionieri di campi, tendopoli, lager governativi dove già l’accesso a procedure mediche di base è difficile. O a chi è rinchiuso in carceri, dove le condizioni non sono spesso molto differenti dai lager per le persone migranti: quale sarà il piano vaccinale che li riguarda? La copertura vaccinale deve abbattere confini interni ed esterni, valicare muri fisici e burocratici. E deve farlo ora.

Riconosciamo, quindi, l’utilità del vaccino e riteniamo necessaria una sua somministrazione diffusa, pur nella consapevolezza degli interrogativi e delle incertezze derivanti dal fatto che si tratta di un vaccino “nuovo” che, di fatto, viene sperimentato su larga scala al momento della somministrazione.

Le critiche più frequenti al vaccino e al sistema delle vaccinazioni, anche in ambiti di “movimento”, sono soprattutto incentrate sulla denuncia delle storture del “sistema” legato alla sua produzione e distribuzione. Si tratta molto spesso di critiche giuste e corrette: è vero che un vaccino, se non è accompagnato da un ripensamento del sistema produttivo e del rapporto tra essere umano e natura non può da solo farci uscire da questa crisi. Così come è vero che l’industria biomedico-farmaceutica otterrà ingenti guadagni dalla distribuzione dei vaccini. Ed è innegabile che un ipotetico “obbligo vaccinale” o “passaporto vaccinale” aprano questioni di importanza fondamentale sulla libertà individuale e sul controllo statale.

Sono argomenti concettualmente validi, ma in cui l’ideologia troppo spesso prende il sopravvento sulle effettive necessità storiche e sociali. Non è scritto da nessuna parte che sostenere l’importanza del vaccino sia incompatibile con la richiesta di un cambio radicale nei nostri paradigmi socio-economici. Anzi, pensiamo che la seconda cosa sia in gran lunga dipendente dalla prima: in una pandemia che è letale soprattutto per le fasce più marginalizzate, ci sembra prioritario focalizzare tutta la nostra attenzione su chi rischia di rimanerne fuori non per scelta ma per impossibilità. In una battuta, se non si ottengono libertà collettive, non si possono fare scelte individuali.