Coi suoi 166 milioni di abitanti il Bangladesh su un territorio grande come la metà dell’Italia è uno dei Paesi più poveri nel mondo. Il 20% dei bengalesi vive sotto la soglia di povertà, l’11% vive in condizioni di povertà estrema, il 20% della popolazione urbana vive in baraccopoli: in questo quadro sociale il Covid-19 ha avuto effetti devastanti. La povertà e la densità della popolazione con famiglie numerose che vivono in una sola stanza hanno reso arduo contenere il contagio, i dati ufficiali parlano di 800.000 casi e 12.000 decessi, ma manca una verifica certa della diffusione del virus soprattutto nelle aree rurali dove non vengono eseguiti i test. E manca il dato su quanti non siano morti per fame o per stenti per effetto collaterale dei prolungati lockdown. Hanno perso il lavoro tutti coloro che si mantenevano con piccoli servizi popolari come meccanici e lavoratori artigianali, taxisti di risciò, venditori di frutta e verdura. A questi vanno aggiunti tutti coloro che sono rimasti disoccupati per la chiusura delle grandi fabbriche tessili e farmaceutiche e quanti hanno perso il lavoro nei Paesi arabi, asiatici ed europei.

Il Bangladesh è il secondo grande produttore al mondo dopo la Cina di capi di abbigliamento; l’industria tessile dà lavoro a oltre 4 milioni di persone, di cui l’85% sono donne: oltre la metà della forza lavoro è stata licenziata, o ha visto ridurre drasticamente un salario già da fame a causa dell’annullamento degli ordini da parte dei maggiori brand di moda negli Stati Uniti e in Europa. La pandemia ha esacerbato molti dei problemi già palesemente esistenti nel sistema globalizzato della moda, tra questi le condizioni di lavoro a cui è sottoposta la manodopera in gran parte femminile occupata nella filiera produttiva: le lavoratrici spesso molto giovani sono ridotte al silenzio, nelle fabbriche subiscono aggressioni sessuali da parte dei superiori e se fanno resistenza vengono licenziate. Le donne non parlano degli abusi subiti perché sono sentiti come un tabù, non è possibile quindi avere stime esatte della violenza nelle fabbriche, ancora percepita come la normalità.

In un contesto già critico come quello bengalese, la prolungata chiusura delle scuole ha determinato preoccupanti segnali sul piano dell’abbandono scolastico. Molte famiglie hanno cercato di mandare i figli maschi a lavorare per avere un piccolo guadagno e continuare a sopravvivere, mentre per le figlie femmine vengono organizzati matrimoni precoci per non doversi più far carico delle spese per il loro mantenimento. Le chiamate fatte al 999, numero di emergenza nazionale, per chiedere aiuto e impedire un matrimonio precoce sono aumentate del 45% nel corso del 2020: un dato allarmante in un Paese in cui l’incidenza dei matrimoni precoci, radicati nelle disuguaglianze di genere e nella struttura patriarcale, era già molto elevata prima della pandemia. Con il Covid-19 anche la possibilità di abortire o di ricorrere a ricoveri ospedalieri sono drasticamente diminuite, costringendo le ragazze più povere a portare avanti gravidanze indesiderate o a morire di complicazioni durante il parto o la gravidanza.

Sul fronte dei vaccini, il Bangladesh a oggi ha somministrato il vaccino a circa 9 milioni di persone: poco più del 5%.
Il Bangladesh dovrebbe ricevere 5 milioni di dosi di vaccino ogni mese in base a un accordo con il Serum Institut of India. Tuttavia negli ultimi due mesi non sono arrivate spedizioni ufficiali poiché il governo indiano sta dando priorità alle esigenze interne. Sono in corso trattative per ottenere circa 11 milioni di dosi del vaccino AstraZeneca nell’ambito del programma Covax entro il mese di maggio.