La variante brasiliana sta colpendo in maniera drammatica il Perù. Secondo i dati dell’OMS nella prima settimana di aprile 2021 il Paese ha registrato una media di quasi 10.000 nuovi casi e un aumento del 50% dei decessi giornalieri rispetto alla settimana precedente risultando così il primo Paese al mondo per numero di morti rispetto alla popolazione (33 milioni di abitanti).

I contagi continuano a salire anche a causa di un sistema sanitario collassato che non è più in grado di far fronte al numero dei ricoveri e a misure di sicurezza inadeguate a garantire igiene e distanziamento soprattutto nelle zone più densamente urbanizzate come le barriadas di periferia dove la gente vive in maniera precaria, non c’è una rete idrica, l’acqua arriva coi camion, costa cara e non è possibile “sprecarla” per lavarsi le mani. Le famiglie più povere non possono permettersi il gel disinfettante, le mascherine hanno costi elevati e vengono riciclate più e più volte da non essere più utili a contenere il contagio. I mercati rionali di strada, che non hanno mai visto chiusura, sono risultati i focolai più pericolosi; è lì infatti che si riforniscono milioni di famiglie povere che non hanno frigorifero in casa e sono perciò costrette a comprare prodotti freschi tutti i giorni. Ammalarsi di Covid-19 in Perù vuol dire correre un rischio altissimo di morire: negli ospedali pubblici le infezioni sono molto comuni, non c’è carta igienica e a volte nemmeno l’acqua nei bagni. Non ci sono bombole di ossigeno.

Il governo ha stanziato un sussidio d’emergenza, ma non ha tenuto conto che i due terzi dei peruviani non possiede un conto corrente e ha dovuto ritirare il sussidio in contanti, di persona, ammassandosi in lunghe code fuori degli sportelli bancari, che sono diventati terreno ideale per la propagazione del virus.

Al momento solo il 3% dei peruviani ha ricevuto la prima dose del vaccino cinese Sinopharm. Il piano vaccinale pensato dall’attuale presidente ad interim Francisco Sagasti è del tutto inadeguato ad affrontare la pandemia a partire dal fatto che la prima fase della vaccinazione non ha riguardato le persone fragili, anziani e con comorbilità, bensì le forze di sicurezza, soldati, poliziotti, vigili urbani, oltreché naturalmente il personale sanitario compresi gli amministrativi.  La scelta è coerente con la visione dello Stato sulla pandemia, percepita più come un problema di sicurezza che come emergenza sanitaria. Nei mesi peggiori della prima ondata l’allora presidente Martin Vizcarra sosteneva che la disciplina avrebbe sconfitto il Covid-19 e pertanto militari e poliziotti erano i soli in grado di difendere la popolazione. L’emanazione di una  “legge di protezione della polizia”  che prevede la possibilità di un uso spropositato della forza,  la licenza di uccidere e l’impunità per gli effettivi della polizia e dell’esercito ha determinato una repressione particolarmente pericolosa per l’opposizione sociale e per le lotte in difesa dei territori che contrastano le miniere. Gli interessi delle imprese estrattive europee, americane e cinesi sono stati al centro della politica del governo. L’estrattivismo non si è mai fermato, i minatori hanno continuato a scendere nel cuore della terra ed estrarre oro, ferro e rame, senza il rispetto dei protocolli di sicurezza.   

In questo contesto autoritario il vaccino si è rivelato un premio per le categorie che hanno agito e agiscono come “protettori della società”, notoriamente in buona salute: meno di 300 militari morti a fronte di più di 35.000 anziani. Gli over 65enni in Perù sono state e sono vittime della società dello scarto: persone che non lavorano e non producono e rappresentano un peso per l’economia, vite umane che non vale la pena salvare.

La corruzione endemica della politica peruviana è l’altra faccia della crisi del Perù, che fa da detonatore alla diffusione del virus.  Gli ultimi cinque presidenti sono stati indagati per aver ricevuto tangenti per la concessione di diverse opere pubbliche. Pedro Paulo Kuczynski si è dimesso nel 2018, Ollanta Humala sta scontando una pena di 18 mesi per lo scandalo Odebrecth, Alan Garcia si è suicidato prima dell’arresto, Alejandro Toledo è in attesa di estradizione dagli Stati Uniti. Lo stesso Vizcarra è stato destituito nel 2020 dal congresso peruviano per “incapacità morale” a causa di una serie di tangenti che avrebbe incassato tra il 2014 e il 2015 quando era governatore di una regione meridionale del Paese. Il 6 giugno il Perù sceglierà il nuovo presidente con il ballottaggio tra Pedro Castillo e Keiko Fujimori, i due candidati usciti con il maggior numero di voti dalle elezioni dell’11 aprile scorso.