Seconda intervista a un lavoratore delle scuole superiori

Con il nuovo Dpcm del 25 ottobre 2020, cosa cambia a scuola? C’è chiarezza sul da farsi?

Il nuovo decreto è stato recepito diversamente da regione a regione. L’Emilia-Romagna lo sta recependo con molta lentezza ed è restia a metterlo in atto. Questo a livello di assessorato regionale alla scuola, di ufficio scolastico regionale, e via via dei vari dirigenti scolastici. Bonaccini fa la figura di quello a cui è stata imposta la didattica a distanza (ora: didattica digitale integrata) dal governo, ma evidentemente è tutto una messinscena per non scontentare le famiglie, la cui contrarietà alla chiusura è stata espressa dai rappresentanti dei genitori nei consigli di istituto. Si è capito che gli studenti dovrebbero venire in classe un orario pari al 25%. Ogni istituzione scolastica decide come declinare nella pratica questa percentuale. La verità è che è una soluzione arrabattata, che serve solo per non ammettere che la chiusura dei luoghi scolastici dovrebbe essere totale, che è la pura verità. Ci sono oggi diversi studi sulla scuola come luogo di contagio maggiore di altri, al contrario di quanto sostiene la propaganda ministeriale. È vero, alcuni studi sostengono che a scuola ci si contagia almeno tanto quanto negli altri spazi – e si basano solo su una campionatura regionale molto ristretta; ma altre ricerche (tra le quali quella del fisico come Roberto Battiston) dicono che la percentuale di studenti contagiati è fino a tre volte più alto rispetto al resto della popolazione. Poi abbiamo i dati francesi che ci dicono che i contagiati nelle scuole sono il 35% di chi la scuola la frequenta, e questo ci indica quale sarà il nostro futuro se non ci saranno chiusure. [ 1 | 2 ]

Quale è l’atteggiamento dei genitori e dei ragazzi?

Nei ragazzi c’è crescente consapevolezza del pericolo di contagio e di essere vettori di contagio. Le famiglie sembra che cedano al ricatto del dover avere i figli a scuola al fine di poter svolgere il proprio lavoro. È una catena…se non fermi la produzione, bisogna tenere aperta la scuola. Infatti scuola e produzione sono affiancate nel discorso pubblico e questo è grave sotto molti punti di vista, così come è grave mettere il diritto all’istruzione davanti al diritto alla salute: significa non rendersi conto della portata della pandemia.

Insegnanti eroi, smontiamo la retorica?

Mi sembra un discorso folle. Vi sono ben pochi insegnanti che si sentono eroi, mentre ci sono molti insegnanti che capiscono la gravità della situazione e il pericolo. E in quanto lavoratori hanno a cuore la propria e l’altrui salute. Non solo eroi, ma soldati, così ci vorrebbero: nella scuola vige una catena gerarchica non troppo distinta da quella della caserma. Gli insegnanti obbediscono a quello che viene loro ordinato. L’unica libertà concessa, in fondo è quella di ammalarsi.

Gli insegnanti come stanno reagendo a questa seconda ondata?

C’è una incapacità collettiva di ragionare sulla necessità di bloccare la “produzione”. Si è passati dal generale “riproviamoci” delle prime settimane di scuola a una generale preoccupazione e fragilità psicologica grande tanto quanto quella dei ragazzi che vengono a scuola in condizioni estreme: ora dovremmo essere i primi a bloccare tutto, proprio come i lavoratori delle fabbriche. Non ci sono le condizioni per lavorare in sicurezza, questo virus non lo consente. È un dato di fatto.

Cosa dovrebbe essere fatto secondo te?

Bisogna fermarsi, fermarsi e ragionare su quali sono le priorità. Fare una graduatoria di valori e di priorità. Rendersi conto che siamo dentro a una pandemia di dimensioni enormi ed è necessario mettersi in standby a scuola come altrove. Pretendere la redistribuzione della ricchezza, il reddito di base, il blocco degli affitti e delle bollette e isolarsi. Anche se ciò provoca un costo elevato, in tutti i sensi, è comunque un costo minore da quello che stiamo pagando, e che pagheremo, continuando la vita di prima. Nello specifico, per me bisogna provare a passare l’autunno e l’inverno utilizzando la didattica a distanza con orario ridotto e con piattaforme non proprietarie. La scuola, come tutti gli ambiti che vivono di limitazioni e chiusure, sostiene che essa non sia luogo di contagio. E questo lo sostengono tutte le attività e tutti i luoghi. Bisognerebbe ribaltare il ragionamento e rendersi conto che ogni attività collettiva è fonte potenziale di contagio diretta o indiretta. È il momento di abbandonare gli egoismi di appartenenza e di settore; è ora di prendersi cura di noi tutte.