Intervista a un lavoratore di un hub vaccinale

Da quanto tempo lavori in un hub vaccinale e qual è la tua mansione?

Lavoro all’hub vaccinale da maggio 2021, le mie mansioni sulla carta sono quelle di assistente amministrativo, in realtà si tratta del lavoro di receptionist/front-office e data entry. Le mansioni sono: accoglienza utenti, gestione delle code e registrazione delle vaccinazioni su piattaforma informatica, conteggi, contabilità interna, apertura e chiusura dell’hub.

Iniziamo a scavare nelle problematiche che hai incontrato nell’hub in cui lavori. Ci piacerebbe poi capire se ci sono situazioni simili anche in altri hub.

Questo sarebbe molto interessante. Io posso parlare per la zona nella quale lavoro, immagino inoltre che ogni regione abbia emanato i bandi con presupposti diversi, in completa autonomia. Mi piacerebbe potermi confrontare con qualche altro lavoratore impegnato in una diversa regione, per capire se i disagi incontrati sono sistemici o più strettamente legati al luogo di lavoro.

Com’è il rapporto con le colleghe e i colleghi? Penso sia alle colleghe e colleghi dell’area amministrativa, ma anche ai medici vaccinatori e agli infermieri. E poi che tipo di rapporto c’è con i tuoi titolari?

In linea di massima ho notato che ho un buon rapporto con tanti colleghi, difficilmente si creano situazioni antipatiche o poco gestibili, come mobbing o scontri interni. Chiaramente i rapporti spesso sono determinati dalle condizioni in cui ci troviamo a lavorare, e il fatto che capita spesso di lavorare sotto una grande pressione, dovuta al gran numero di persone di cui prendersi cura unito a un sottodimensionamento dell’organico, può condurre ad alcune - gestibili - tensioni interne. Anche il fatto che non sempre veniamo pagati in tempo (al momento non percepiamo compenso da circa tre mesi) crea malumori e tensioni. Tuttavia ho potuto notare come vi sia una grande remissività in relazione alla consapevolezza dei propri diritti, spesso i miei colleghi - pur di mantenere il posto di lavoro (ignorando che difficilmente possano essere licenziati, vista la centralità e indispensabilità della nostra figura) decidono di sopportare qualsiasi sopruso, qualsiasi privazione dei diritti basilari sul luogo di lavoro, e il fatto di farlo notare, sottolineando invece quanto sia importante reclamare dignitose condizioni di lavoro, il rispetto dei vincoli contrattuali o la puntualità nei pagamenti, spesso può portare a delle resistenze. Ciò credo sia dovuto a una situazione di disoccupazione cronica, che ovviamente fa sì che i lavoratori siano cronicamente ricattabili.

Il rapporto coi medici è un po’ ambiguo. Il personale medico è generalmente anziano, e spesso ho potuto notare una scarsa voglia di stare negli hub, come se facessero questo lavoro solo per “arrotondare”, non sempre sono precisissimi nel loro lavoro, soprattutto nel momento anamnestico, che, come è risaputo, è assolutamente centrale. Con gli infermieri e le infermiere, invece, a volte condividiamo i disagi dovuti ai turni, ma si percepisce che loro hanno dei privilegi anche in termini contrattuali che noi non abbiamo. Questo può portare ad alcune frizioni che fortunatamente non sono mai gravi, e direi che si tratta di situazioni “normali” quando si sta in un ambiente in cui vi sono lavoratori con inquadramenti differenti.

Per quanto riguarda i titolari, in realtà, ammetto di avere impiegato un po’ di tempo per capire chi effettivamente fossero. Abbiamo dei responsabili che gestiscono i turni di medici e infermieri e che coordinano il nostro lavoro, ma non sono i nostri titolari perché in realtà noi rispondiamo direttamente a una struttura dell’ASP, situata nel capoluogo di provincia. Il nostro titolare è il direttore della struttura, anche se penso di averlo visto non più di due volte. Il nostro inquadramento contrattuale è a partita IVA, e siamo dunque sotto le sue direttive, ma dobbiamo contemporaneamente rispettare ciò che ci viene detto dai responsabili degli hub, con i quali tuttavia non abbiamo un rapporto di subordinazione. A volte i nostri responsabili ci dicono di fare cose diverse da quelle comunicate dalla struttura centrale, e ciò crea ulteriori attriti e a farne le spese ovviamente siamo noi, dato che non possiamo rifiutarci di fare quello che ci dicono.

Va da sé che il fatto di essere a partita IVA è assurdo. È una cosa gravissima, e assolutamente illegale. Da un punto di vista informale il nostro è un rapporto di lavoro subordinato de facto, lavoriamo esattamente come dipendenti, con tanto di cartellino da timbrare, con tanto di turni di entrata e di uscita. Dunque lavoriamo come dipendenti senza averne i vantaggi, e abbiamo una partita IVA subendone solo gli svantaggi: non abbiamo diritto a ferie e a malattia, ogni assenza al lavoro non viene pagata. E come se non bastasse non abbiamo la facoltà di gestire i turni di lavoro, questi ci vengono comunicati di giorno in giorno, quindi si lavora quasi “a chiamata”, con l’oggettiva impossibilità di organizzare i propri impegni e le proprie giornate.

Non vi è un orario di lavoro fisso, se necessario è possibile avere turni anche di 12 ore, e se alla chiusura dell’hub i conteggi non tornano - si fanno ancora a mano - si può restare anche per due ore oltre la fine de turno. Questo è inaccettabile non solo per una partita IVA, ma per qualsiasi rapporto di lavoro. Con una partita IVA è ancora peggio perché non puoi reclamare nessun diritto. C’è questo finto rapporto libero professionale, ma che in realtà è un rapporto parasubordinato, dove è possibile essere spremuti e sfruttati senza alcun limite.

L’altra faccia dell’hub vaccinale è l’utenza vera e propria. Che spaccato di società hai visto lì dentro?

Da un punto di vista umano questa mia esperienza all’hub è stata sicuramente significativa e formativa. Venivo dal mondo della ricerca, e visto il mio campo di studi, capitava spesso di parlare di classi popolari e subalterne, ma trovarsi direttamente in contatto con tali classi, e con in concreti rapporti materiali che ne regolano la vita, è stato sicuramente di grande impatto.  L’ambiente umano che c’è è molto variegato, è una zona in cui c’è molto lavoro di tipo agricolo, manufatturiero, edile, di pastorizia, un luogo quindi che dà delle prospettive di impiego per cui è molto facile che le persone abbandonino gli studi. Questa condizione di scarsa scolarizzazione va di pari passo con alcune sovrastrutture, tipiche del meridione d’Italia, di tipo reazionario e - talvolta - violento. Non sempre è facile interagire con queste persone, dato che spesso vedono la vaccinazione - e noi ce ne occupiamo - come una minaccia che va a minare la loro “furbizia”. È capitato che gli utenti abbiano lasciato sul tavolo degli infermieri denaro nell’ordine delle centinaia o delle migliaia di euro, al fine di corromperli e non farsi vaccinare. Ciò nel migliore dei casi, a volte si arriva all’aggressione verbale e in alcuni hub vicini al nostro anche a quella fisica, mettendo a serio rischio l’incolumità dei lavoratori.

Vista la sovrabbondanza di burocrazia che pervade gli hub, si pone anche il problema di come gestire l’analfabetismo e la poca scolarizzazione. Spesso ci si trova a dover fare assistenza - non contemplata dal nostro contratto di lavoro - per aiutare le persone a districarsi tra i meandri del processo per ottenere il green pass e altri casi similari. Poi vi è anche il problema di gestire le comunità di extracomunitari, storicamente insediatesi in questi luoghi per via della sovrabbondanza di lavoro agricolo. Si tratta spesso di persone che non sanno parlare l’italiano, spesso non scolarizzate e che soffrono - soprattutto alcune comunità - dei processi di autoghettizzazione. Interfacciarsi con questo tipo di utenza senza nessun tipo di formazione è oggettivamente molto difficile. Inoltre vi sono diverse falle normative e burocratiche relative all’ottenimento del green pass: si tratta spesso di persone senza documenti italiani (o senza documenti in toto), per cui permettere loro di ottenere il lasciapassare diventa un compito davvero difficile. Il green pass è obbligatorio per andare a lavorare, e il fatto di non poterlo ottenere genera a volte situazioni di conflitto e aggressività complesse da gestire. Spesso queste persone pensano che noi le vogliamo “fregare”, per cui si rifiutano di mostrare i documenti oppure mentono su dati sensibili, come l’età dei bambini, il che porta poi a inoculare vaccini sbagliati e controindicati per la loro età, con tutte le gravi conseguenze che ne possono derivare.

Abbiamo parlato delle persone, ora ti chiedo dello spazio. Come sono gli ambienti in cui vi trovate a lavorare?

Quello degli ambienti è un tema caldissimo che dimostra una scarsissima lungimiranza da parte dell’amministrazione nell’organizzare una cosa importante come la campagna vaccinale. Le strutture in cui lavoriamo sono un insulto a chi lavora e a chi riceve il vaccino. L’hub è ospitato in un casotto e vi è un grande spazio occupato da una tensostruttura. Sotto di essa in estate si muore di caldo, e si è dunque costretti a sostarvi assieme a tantissime persone, con temperature che facilmente superano i 40 gradi. Ciò ovviamente implica che un gran numero di persone si possa sentir male, con particolare gravità nel caso di soggetti fragili e anziani. D’inverno vi è il problema opposto, la tensostruttura è aperta e le temperature possono scendere di molto. Si tratta di una struttura impossibile da riscaldare, vista la sua ampiezza. È inoltre esposta a ogni tipo di intemperia, ed è anche capitato che una parte di essa crollasse a causa del forte vento - il che non ha impedito ai responsabili di dirci di restare sotto il tendone a lavorare ugualmente, letteralmente infischiandosene della nostra sicurezza e della nostra incolumità.

All’interno del casotto, posto in una contrada di campagna, la situazione non è migliore: anch’esso è freddissimo d’inverno e caldissimo d’estate. Si tratta di una struttura molto piccola, dove è impossibile mantenere l’adeguato distanziamento, e dove le persone tendono ad affollarsi. Si tratta dunque di una situazione drammatica: i lavoratori sono costretti spesso a lavorare all’aperto anche con temperature molto fredde, con pioggia e vento, l’utenza di contro deve sostare parimenti sotto la tensostruttura, e la struttura del casotto è assolutamente inadeguata a gestirne i flussi.

Vuoi aggiungere qualcosa a questa chiacchierata?

Io credo che una cattiva gestione della campagna vaccinale vada a discapito non solo dei singoli utenti, ma rischi di inficiare tutta l’operazione. Condizioni di lavoro difficili e stressanti, unite al fatto che spesso non ci pagano, possono portare ad eseguire male il lavoro, il che comporta un grande disagio per l’utenza. Ciò vale sia per gli amministrativi che per il personale sanitario: non di rado si sbaglia quale vaccino inoculare. D’altronde i ritmi di lavoro possono essere davvero massacranti, quasi da catena di montaggio. Capita che quando a qualcuno viene assegnata una nuova mansione ha difficoltà ad abituarsi ai nuovi “movimenti”, vista che la memoria muscolare ha registrato (e ripetuto centinaia di volte) quelli precedenti.

In conclusione, trovo sia molto grave che la campagna vaccinale venga gestita in questo modo, il che rivela un grande disprezzo per la salute e la sicurezza dei lavoratori come anche un grande disinteresse nei confronti dell’utenza. Se è vero - com’è vero - che il vaccino è l’arma più potente che abbiamo contro questa pandemia, vedere sminuita e degradata la campagna vaccinale in questo modo non può che rendermi ancora più pessimista sul nostro paese.