Intervista a Samanta Picciaiola, maestra di scuola elementare a Cento (FE).

A oggi 30/01/2022 qual è la situazione a scuola? 

Dal punto di vista dei dati, partendo da quello che è un mero conteggio, il nostro, che è un plesso medio con 20 classi nel centro storico di Cento, una cittadina di 35.000 abitanti, ha circa 1/3 abbondante delle classi di scuola primaria in didattica a distanza. Questo significa che tutta la classe è a casa e le docenti, se non sono positive, sono a scuola, in classe, e si collegano e fanno lezione con i bambini e le bambine da casa.
Poi abbiamo il restante 2/3 che presenta numeri molto alti di singoli alunni e alunne a casa in didattica digitale integrata perché, ricordiamo, con il sistema attuale è necessario che vi siano, come condizione perché tutta la classe sia in didattica digitale, due casi di positività. E qui veniamo alle dolenti note perché la certificazione e il tracciamento, in questo momento, sono proprio in alto mare. E questo fa sì che, per esempio, la mia classe di ventun alunni e alunne abbia nove in didattica digitale e il restante in classe. Perché non siete andati in didattica digitale tutta la classe? – direte voi.  Perché attualmente le indicazioni dei pediatri dell’ASL di Ferrara sono che in caso di un contatto stretto con un positivo, quindi bambini e bambine che hanno in famiglia una persona positiva non fanno il tampone immediatamente bensì dopo dieci giorni; vanno subito in isolamento, ma il tampone viene trascritto dall’ASL dopo dieci giorni. Se le famiglie vogliono sapere o verificare prima possono farlo a loro spese, a loro discrezionalità. Si verifica quindi che molte famiglie, in questo momento, non fanno il tampone, il bambino o la bambina va in isolamento cautelativo per contatto stretto, ma non ci sono i due casi di positività per la didattica digitale perché se poi questo bambino o questa bambina dopo dieci giorni risulterà positivo come spesso accade sono praticamente già dieci giorni che non vengono in classe e quindi la classe non è interessata dal contagio. Le classi dove si è andati tutti in didattica digitale, quindi, è perché ci sono stati positivi nel giro di pochi giorni, abbastanza ravvicinati, o ci sono state due famiglie che hanno deciso di agire direttamente, oppure come è successo nel caso di un mio bimbo che pratica attività sportiva che ha fatto un tampone prima di entrare al palazzetto ed è risultato positivo. Non abbiamo però avuto un secondo positivo perché non c’è più l’obbligo dello screening su tutta la classe e questo rende la situazione completamente delirante dal punto di vista del tenere i conti e del capire l’avanzata reale del virus.

La prima fase della pandemia è stata una fase di emergenza dove si è cercato di fare quello che si poteva con gli strumenti che si avevano. Quella che stiamo vivendo ora è forse la fase dell’inadeguatezza delle misure messe in campo. Cosa hai notato di diverso tra le due fasi e soprattutto cosa poteva essere fatto che non è stato fatto a livello scuola?

La differenza principale chiaramente è che la prima fase è stata una fase di grande paura. La scuola è stata chiusa fisicamente e abbiamo sperimentato per la prima volta nella storia della Repubblica una formazione a distanza. Chiaramente questa formazione a distanza ha pagato il fio dell’enorme gap digitale che investe tutto il corpo docente e devo dire che più si abbassa il grado di scuola più il divario si amplia. Rispetto alle mie colleghe, le insegnanti della primaria - dico le insegnanti perché siamo 99,9% donne e qui ci sarebbe anche un discorso di genere da fare - sono persone che hanno livelli di bassissima alfabetizzazione digitale. C’è un fattore rappresentato dall’età e quindi generazioni più lontane nel tempo che hanno un uso dei mezzi molto limitato; poi ci sono ragazze appena uscite dall’università che chiaramente sanno utilizzare i device e hanno un’altra consuetudine. Di fatto le cosiddette TIC [Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione] tanto sbandierate dalla Buona Scuola [Legge 107/2015] non sono entrate ancora nella quotidianità e nell’uso di tutte le classi di tutte le scuole. Abbiamo una realtà a macchia di leopardo, con eccellenze, con istituti comprensivi che lavoravano già con il registro elettronico, la digitalizzazione dei documenti, ecc. e altri che non sanno nemmeno seguire una normale casella di posta. C’è un grande divario. La prima è stata una fase di grande smarrimento perché tutta affidata alla buona volontà dei docenti. Chiaramente si presupponeva che i docenti utilizzassero da casa i loro strumenti, quindi portatili, tablet, adsl… Ricordo le super offerte di adsl per i docenti perché molti docenti non l’avevano a casa.  Si è un po’ aperto il vaso di Pandora, ci siamo resi conto che siamo famiglie, come dico io, tutte con la Playstation, cellularizzate, con due o tre iPhone, però le tre applicazioni di Microsoft Office nessuno le sapeva usare, comprese le famiglie. Perché l’altro problema in questa prima fase sono state proprio le famiglie che dovevano comunque supportare i bambini e le bambine e non sapevano mandare un allegato, non sapevano usare un drive nel cellulare, non avevano un programma di gestione della posta… E parlo di giovani famiglie venti/trentenni che hanno un livello di alfabetizzazione bassissimo. Nella seconda fase ci avevano raccontato che la scuola sarebbe cambiata perché la pandemia aveva rappresentato lo scossone che mancava. Avremmo dovuto avere un investimento importante sull’edilizia scolastica perché era chiaro che gli spazi non erano adeguati - ma non lo erano nemmeno prima della pandemia - e poi ci avevano raccontato che non si poteva più abbandonare la didattica digitale, nel senso che questa grande scoperta che sono le tecnologie doveva far parte della nostra quotidianità. Ecco, quindi, che si è coniato DDI e non più DAD, cioè didattica digitale integrata e l’integrazione doveva essere tra la presenza e la distanza. Tutto questo sulla base di quale programma formativo? Zero. Nessuno, nessuna obbligatorietà, nessuna azione formativa e con in più quello che chiamerei effetto rebound, con tantissime docenti scioccate ed esasperate da queste estenuanti video lezioni con famiglia annessa perché tu non avevi solo il bambino e la bambina, ma il mondo intero che era lì ad ascoltarti e ovviamente non si è abituati a questo tipo di platea. Naturalmente non si è fatto nulla e si è persa una grande occasione perché non siamo maggiormente alfabetizzate digitalmente, non c’è stato un piano nazionale di investimento e di formazione e gli strumenti spesso sono rimasti quelli cioè si sono aggiustate due lavagne Lim [Lavagna Interattiva Multimediale], ma noi abbiamo ancora dei computer che sono assolutamente inadeguati, che non supportano videocamere. Siamo veramente lontani da quella retorica di cui si sente parlare che infarcisce discorsi sulla scuola in questo momento.

DDI deve essere integrata: come hanno reagito le bambine e i bambini e come avete fatto voi a spiegare loro che oggi una/o di loro non sarà a scuola, ma lo potranno vedere al pc perché in DDI?

In realtà come sempre i bambini e le bambine hanno un’enorme capacità di adattamento e questo concetto di on-life di cui si parla oggi per loro è assolutamente naturale. Quindi il vero disagio è degli adulti e delle adulte, come spesso mi è capitato di rilevare su tante altre questioni non ultima, per esempio, l’accogliere compagni con le differenze le più svariate, diverse abilità o altra lingua. È stato abbastanza veloce comprendere che quello era un modo di stare insieme che aveva le sue regole differenti. Devo dire che poi c’è l’aspetto di gioco, i bambini e le bambine hanno una grandissima facilità a interagire con uno schermo, cosa che invece non abbiamo noi adulti, che non siamo nativi digitali. Da questo punto di vista quindi una difficoltà reale per loro non c’è stata. Qual è invece la difficoltà di fondo? È la situazione di apprendimento. Fondamentalmente abbiamo traslato modalità trasmissive di docenza dal reale all’online. Cos’è quindi la DDI oggi? Potrebbe essere tantissime cose perché c’è un mondo di strumenti, di applicazioni che a volte sono fantastiche soprattutto per lavorare in termini inclusivi. Faccio un esempio banale, ma già solo il fatto che tu possa avere un lettore automatico quando lavori con un bambino o una bambina che ha una dislessia pesante rende la DDI molto più funzionale della didattica in presenza. Però il punto è sempre quello: se io ho una docente che fa una didattica trasmissiva in classe vecchia di cinquant’anni farà una didattica trasmissiva online perché l’online non fa miracoli e non cambierà la docente. Quindi cosa finisce per essere la DDI? Accendo un meet io parlo e di là ascoltano. Ancora più alienante, ma alienante questo anche a scuola nella realtà dove abbiamo ancora tanti docenti che continuano a dettare, a dare le schede, a far fare gli esercizi online. Il problema è qui ed è radicale e come sempre è il fine e non il mezzo quello che mi consente di modificare. Rischiamo di perdere un treno perché da una parte le strumentazioni sono diventate il diavolo, dall’altro non abbiamo imparato nulla, cioè non ci abbiamo neanche provato, perché possiamo usarla anche in classe in presenza la tecnologia, cosa che io faccio in situazioni molto ludiche, chiaro che non faccio due ore di didattica digitale.