Abbiamo contattato la professoressa Maria Chiara Pievatolo, docente di filosofia politica all’Università di Pisa e vicepresidente dell’Associazione Italiana per la Promozione della Scienza Aperta (AISA) – associazione senza fine di lucro che promuove la cultura e le pratiche di accesso aperto alla conoscenza – che ha recentemente pubblicato due comunicati che hanno attirato la nostra attenzione.

Un primo comunicato riguarda i brevetti sui vaccini e propone un “vaccino libero”. In cosa consiste?

La “proprietà intellettuale” è un ostacolo nel far fronte alla pandemia perché non permette che la popolazione mondiale si vaccini velocemente e in massa coi vaccini già esistenti. Non “incentiva l’innovazione” come si sente dire, ma è uno strumento monopolistico a vantaggio di pochissimi ricchi, che danneggia non solo la popolazione dei paesi più “poveri”, ma anche quella dei più “ricchi”!

Non vaccinare i paesi poveri allo stessa stregua di quelli ricchi significa permettere che il virus si diffonda, muti e sviluppi nuove varianti più resistenti ai vaccini, che si estenderanno anche nei paesi ricchi. È certo un affare per le multinazionali farmaceutiche, che dovranno variare i loro vaccini e potranno smerciarli di nuovo con profitto ai loro clienti ricchi, ma una catastrofe per tutti gli altri, ricchi compresi.

Il secondo comunicato riguarda le “licenze obbligatorie” che non esistono in Italia. Di che si tratta?

Come il diritto di ripubblicazione, buona parte dei paesi europei ha una norma sulle licenze obbligatorie. Non sono proposte radicali ma sono contenute negli accordi TRIPs. Qui invece la classe dirigente pratica il neocolonialismo a casa propria. L’Italia non ha una norma sulle licenze obbligatorie, la norma è stata proposta ma non è mai stata discussa. Basterebbe scrivere una legge di 4 righe. La norma era stata proposta in relazione al farmaco per curare l’epatite C.

Questo sarebbe un buon momento per completare qualcosa che nell’ordinamento manca. È uscito un articolo di Gustavo Ghidini, un industrialista (un giurista che si occupa di proprietà intellettuale dal punto di vista industriale) che ha deplorato la mancanza di licenze obbligatorie, già prevista negli accodi TRIPs, e ha ricordato che nel codice della proprietà industriale c’è la possibilità in casi di emergenza di espropriare il brevetto. Non significa esproprio proprietario di una presunta proprietà: i brevetti sono monopoli concessi dallo stato, l’azienda sarebbe indennizzata. Senza introdurre le norme sulle licenze obbligatorie volendo si potrebbero usare le norme vigenti.

Aggiungo che Israele si è presentata brandendo la licenza obbligatoria e per questo ha avuto successo. È uno strumento persuasivo in sede di negoziazione. Come insegna Adam Smith, le aziende non sono benefattrici della società. Senza licenza obbligatoria non puoi trattare. È per questo che stiamo ottenendo ben poco. In più ci sono problemi di scarsità dei vaccini.

Cosa ne pensa della mozione di sospensiva del brevetto dei rappresentanti di India e Sudafrica in sede TRIPs, recentemente bocciata dai rappresentanti dei Paesi post‑industriali (fra cui UE, UK, USA, Australia, Giappone) e del Brasile del governo Bolsonaro?

Stare dalla parte dei paesi ricchi, cioè contro la sospensiva del brevetto, va a vantaggio di pochissimi. C’è uno sbilanciamento fortissimo verso le multinazionali che sviluppano e producono vaccini. Ci sono pressioni enormi sui governi. Il bilanciamento di poteri è quasi del tutto assente. Sono state fatte richieste giuste ai cittadini sul lockdown per evitare la progressione del contagio ma non si riflette sui cittadini che hanno dovuto cedere gran parte dei diritti e libertà per superiori ragioni sanitarie. Richieste analoghe non sono state fatte alle multinazionali.

Questa situazione andrebbe bilanciata con l’accesso al vaccino. Eppure, da un lato c’è un grosso investimento pubblico – europeo, tedesco, statunitense – a favore di aziende produttrici vaccini, dall’altro ad esempio Pfizer pretende di dettare le regole del gioco, pretendendo dagli Stati come clausole di indennità le loro riserve auree, le basi militari, gli immobili statali come palazzi delle ambasciate, a garanzia di future richieste di risarcimento. Fra le clausole c’è anche il risarcimento per eventuali effetti collaterali del vaccino o per negligenze anche dirette dell’azienda – come gli errori nella catena di produzione o nella c.d. “catena del freddo”. È una situazione così alla luce del sole…

Cosa porrebbe le multinazionali in questa posizione di forza?

Gli Stati stessi pongono le multinazionali in questa posizione di forza. In primo luogo, si è scelto di costruire una normativa sulla proprietà intellettuale che è basata sull’estensione di quello che avveniva nella prima età moderna. I brevetti sono dei monopoli, i monopoli sono particolarmente dannosi con i farmaci, non solo in termini economici ma anche in termini politici. Quando dai un monopolio a qualcuno anche concordando prezzi particolarmente bassi, gli dai un potere, perfino il potere di decidere se produrre pochi vaccini, a chi darli e a chi no, quali clienti privilegiare e quali no.

La normativa anti‑trust USA è stata concepita nella gilded age, cioè inizio ’800‑’900, dove il monopolio e i cartelli si sostenevano molto. Il senatore Sherman dell’Antitrust Act, o l’avvocato e poi giudice Louis Brandeis campione di lotta anti‑trust, avevano chiaro in mente che la questione del monopolio era prima politica che economica – e non c’era ancora la Scuola di Chicago che la rendeva solo economica. Se si concede il monopolio a qualche azienda o a successive concentrazioni di aziende, il monopolista può avere molto potere, anche più di uno Stato democratico a legittimazione popolare.

Quello che venne fatto dai primi del ’900 agli anni ’70 fu di smembrare i monopoli. Faccio l’esempio della AT&T, compagnia telefonica americana. Impedire che si formassero i monopoli ha permesso la nascita di Internet, in un certo senso. Coloro che sostenevano che il problema del monopolio è un problema politico, di potere, non solo economico, erano consapevoli che la Germania nazista e il Giappone imperiale erano Paesi che vivevano su grandi concentrazioni di proprietà. Quando ci sono grandi concentrazioni industriali c’è un potere di lobbying, un potere di condizionare mezzi di comunicazione, come la stessa consuetudine delle porte girevoli fra governo europeo e consigli di amministrazione di queste grandi compagnie. Tutti questi aspetti fanno sì che ci siano cittadini e multinazionali che sono più uguali degli altri.

Il loro grande potere dipende (a) dal fatto che lo stato gliel’ha concesso; (b) si accettano concentrazioni di proprietà e si fa finta che sia solo un problema economico… e quindi non c’è in realtà nessun problema. Si è spostato il potere vero dai rappresentanti eletti dal popolo – la democrazia – a queste grandi concentrazioni. Colin Crouch ha coniato il termine «post‑democrazia», sistemi formalmente democratici – ci sono le elezioni e i parlamenti – però di fatto sempre più oligarchici. Lo Stato via via cede funzioni, si pensi alla privatizzazione nella sanità, e quindi conoscenze e competenze ai privati, i quali a loro volta acquisiscono sempre maggiori possibilità di influenzare le decisioni politiche molto più del cittadino elettore.

La pandemia sarebbe potuta essere (e non sarà probabilmente) un motivo in più per riflettere su un sistema che danneggia la salute, soprattutto se consideriamo che l’unica spesa che non viene sostenuta dal pubblico è quella connessa alla sperimentazione di terza fase che richiede grandi numeri e dunque cospicui investimenti. Sarebbe importante che la ricerca, anche la sperimentazione di fase 3, ritornasse nelle mani pubbliche. Se ragioniamo anche in termini economici – a me non piace, ma vale la pena farlo – ci rendiamo conto che le perdite come collettività che abbiamo di fronte ai monopoli, e la capacità produttiva che non si sviluppa a causa di brevetti o famiglie di brevetti, sono molto maggiori di un eventuale investimento pubblico per una sperimentazione che già lo Stato deve controllare – anche perché lo sperimentatore privato è in un conflitto di interessi

Un Paese che lascia agli altri la ricerca scientifica di alto livello come la produzione di farmaci che sono essenziali, è un Paese che nei decenni successivi sarà auto‑neocolonizzato.Si tratta di avere capacità strategica nel lungo termine. FFA tal proposito, segnalo questo articolo utilissimo di Lucio Russo su “Anticitera” che mostra una rassegna con un orizzonte storico abbastanza ampio. Si parla di Saragat, di alcune debolezze storiche delle classi dirigenti italiani, con tendenze auto‑neocolonialiste.

Come osservato da più parti, un vaccino libero da brevetti non è l’unico tassello per un vaccino libero. Ci sono competenze tecniche, una condivisione tecnologica, etc. Come un approccio a scienza aperta può impattare su un’eventuale filiera libera di produzione del vaccino? E se da oggi, idealmente, fosse approvato un vaccino libero, quanto tempo ci vorrebbe?

Silvio Garattini, farmacologo che abbiamo invitato a una conferenza, dice un tempo probabilmente di 8‑12 mesi. Cito Garattini che è farmacologo, io sono studiosa di filosofia politica. Però bisogna considerare la questione a lungo termine. Considerando che il COVID è in giro e sta mutando, sarebbe un investimento a lungo termine.

Quello che dicevo in conclusione è che nel momento in cui la produzione di farmaci si fonda sui monopoli e sull’interesse economico, strangola nella culla un sistema di capacità, di innovazione e produzione. Se ci sono i brevetti c’è pochissimo da fare se il pubblico sceglie di non investire in una parte costosa di sperimentazione. I farmaci economicamente interessanti non sono necessariamente interessanti dal punto di vista sanitario.

Avere una pluralità di ricercatori, enti, approcci, non è detto che sia un male, anzi può essere un bene. C’è una bellissima metafora di un filosofo della scienza, Michael Polanyi (fratello di Karl), che descriveva la ricerca come il tentativo di comporre un puzzle enorme di cui non si conosce l’immagine finale. Ci sono due modi possibili per risolvere il problema. Il primo modo è far dirigere un tentativo di composizione da parte di una sola mente. L’altro, apparentemente meno organizzato, è di mettere tutti a risolvere il puzzle in una sola stanza, facendo ciascuno tentativi e vedendo i tentativi degli altri, per vedere se producono qualcosa di sensato oppure no. Secondo Polanyi – in realtà secondo il metodo della scienza aperta – visto che non sappiamo l’immagine di questo puzzle, è più efficace permettere di sperimentare più alternative nello stesso tempo. L’altro metodo obbliga a sperimentare un metodo alla volta: se uno ha successo è più efficiente, ma di fronte all’ignoto con altissimo rischio di insuccesso si rischia di rallentare il progresso della ricerca perché si sperimenta una soluzione alla volta.

Addendum Dopo la conclusione dell’intervista, il presidente statunitense Biden ha scompaginato il fronte dei Paesi ricchi dichiarandosi favorevole a negoziare in seno al WTO una sospensione dei brevetti. La proposta incontra l’opposizione o comunque la freddezza dell’Unione Europea, ma è legata a un crescente movimento di opinione – persino fra gli economisti – in questa direzione. È stato detto che è una mossa di politica internazionale – un potere imperiale può permettersi di essere “egoista” senza intaccare la sua aura solo entro certi limiti – da parte di un Paese che si è intanto assicurato i vaccini per sé a scapito degli altri, europei compresi, e però è un gesto filosoficamente importante. Perché? Perché comporta una implicita ammissione che i monopoli sulle idee concessi dagli accordi TRIPs non incentivano affatto lo sviluppo e l’applicazione delle idee stesse. Diventa così più facile chiedersi come mai quello che si fa straordinariamente non si possa fare anche ordinariamente. Perché per il Covid-19 sì e per il cancro no, per esempio? Qualunque sarà il suo effetto, penso che sia un passo importante per incrinare il dogma secondo il quale non c’è conflitto fra l’interesse scientifico alla “verità”, che ha bisogno di essere compresa e valere per tutti, e quello economico ai monopoli, che invece valgono – in tutti i sensi – soltanto per pochi.